Jackie by Jelinek Elfriede

Jackie by Jelinek Elfriede

autore:Jelinek, Elfriede [Jelinek, Elfriede]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


In fuorigioco

Questo brano è il discorso che Elfriede Jelinek ha pronunciato in occasione della cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Letteratura 2004.

È lo scrivere il dono dell’elasticità, di un’elastica adesione alla realtà? Certo che si vorrebbe aderire, conformarsi, rannicchiarsi, ma che ne è di me? Che ne è di chi non conosce davvero la realtà? È qualcosa di così arruffato, la realtà. Non c’è pettine che la possa ravviare. Gli scrittori la attraversano e disperati raccolgono i suoi capelli in un’acconciatura che subito li funesta durante la notte. C’è qualcosa che più non quadra nell’aspetto. Già esibita in un magnifico toupet, la capigliatura sta per essere sfrattata dalla sua casa dei sogni e comunque più non si riesce a tenerla a bada. Oppure pende disfatta come un velo sul viso, non appena si è riusciti a sistemarla a gran fatica. O ancora, senza volerlo, si rizza per l’orrore di ciò che continuamente accade. Insomma, non si lascia mettere a posto. Non vuole. Per quanto si passi il pettine con qualche rebbio rotto – proprio non vuole. Qualcosa adesso quadra ancor meno. Ciò che è scritto, e che parla di ciò che è accaduto, si allontana di nascosto da noi come il tempo, e non solo il tempo durante il quale si è scritto e nel quale non si è vissuto. Nessuno si è lasciato sfuggire qualcosa, se non ha vissuto. Non chi vive e non il tempo ammazzato, e men che mai chi è morto. Quando ancora si scriveva, il tempo è entrato nell’opera di altri scrittori. In quanto tempo, può tutto allo stesso tempo: entrare nel proprio lavoro e contemporaneamente in quello degli altri, transitare sulle arruffate acconciature degli altri come un venticello fresco, ancorché maligno, alzatosi inaspettatamente e all’improvviso dalla realtà. Quando qualcosa si solleva, è difficile che si quieti subito. Il vento soffia furioso e sradica tutto, trascinandolo via con sé. E non importa dove lo trascini, comunque non più nella realtà che dovrebbe essere rappresentata. Ovunque, ma non in quella direzione. La realtà è l’elemento che scompiglia i capelli e alza le gonne e appunto sradica la realtà, trascinandola in qualcosa d’altro. Come può lo scrittore conoscere la realtà, se è lei ad attraversarlo e a trascinarlo via con sé, sempre in fuorigioco. Da lì vede meglio, ma non può restare per la via della realtà. Lì non c’è posto per lui. Il suo posto è sempre altrove. Solo ciò che dice dall’esterno può essere percepito, e questo perché le cose che dice sono ambigue. Ed ecco già due cose che quadrano, due cose giuste che mettono in guardia, nulla è accaduto, due cose che danno interpretazioni divergenti, che si spingono lontano fino alle fondamenta, già da tempo spezzate come i rebbi del pettine, inadeguate. Aut aut. Vero falso. Prima o poi doveva succedere, visto che il terreno non era minimamente adatto alle fondamenta. Come si potrebbe costruire su un buco senza fondo? Ma l’inadeguatezza che cade nel loro campo visivo è comunque sufficiente agli scrittori per qualcosa che potrebbero in fondo tralasciare.



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